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TAVOLE STORICHE

Le Castella, frazione turistica del comune di isola di capo Rizzuto, ha una storia mista tra mito e realtà. Alcuni studiosi, infatti, pongono nelle acque di Le Castella l’isola di Calypso descritta da Omero nella sua Odissea. Secondo Strabone e Plinio il vecchio, ci furono varie isole distanti da Le Castella e Capo Rizzuto, di ammirevole bellezza, indicate anche il ancune mappe medioevali ma il cui numero è dimensione è indefinito. Tra esse si conoscono i nomi di alcune delle isole: Tiris, Meloessa, Ogigia, Eranusa e l’isola dei Dioscuri.

Il borgo cominciò ad imporsi come comunità intorno al 304 a. C. al termine delle guerre Pirriche venutesi a creare nell’Italia meridionale, con il patto tra Roma e Taranto, città italo – greca che si ribellò all’espansionismo romano ma che dovette accettare. 

Vari i popoli che occuparono Le Castella, borgo dalla pozione strategica: dalla breve parentesi romana con Annibale che sostó alcuni giorni durante la seconda guerra punica (208-202 a. C.) , agli Arabi che nei secoli IX-XI , avendo un emirato vicino Squillace, utilizzavano il borgo per il controllo sul Golfo di Squillace, appunto, di cui Le Castella fa parte. Grande rilevanza storica è il periodo che va dal XIV al XVI secolo quando il borgo seguì le vicende del Regno di Napoli in cui Le Castella fece la sua parte con “LA BATTAGLIA DI LE CASTELLA”, all’interno dei vespri siciliani. 

Proprietà del marchese Antonio Centelles, agli inizi del Cinquecento , la terra di “Castellorum Maris” rappresentata nella bella carta del Piri Reis (1521 e ripresa nella lastra alle spalle del Busto di UCCI-ALÌ nell’omonima piazza), evidenziava un nuovo assetto: presso il mare rimaneva la parte più antica, mentre l’area urbana si era estesa verso la campagna, integrando le vecchie mura (“menia antiqua”) con nuove opere (“menia nova”). Durante il periodo Borbonico, Le Castella ha grande importanza militare per la protezione che la fortezza dà al traffico marittimo, le cui artiglierie sono debitamente rifornite di munizioni utili, nella prima metà del 700, a fronteggiare la minaccia turca. Proprio l’invasione dei “saraceni” (detti anche volgarmente “pirati”) nelle acque mediterranee, portò molti degli abitati sulle coste a spostarsi verso la campagna e i promontori.  

Alla fine del 700, Le Castella viene danneggiata dal terremoto. Con questo avvenimento gli abitanti (circa 340 in quel periodo) abbandonato completamente la Fortezza , che era stata luogo di vita cittadina, e si trasferisce sulla terra ferma dove nascerà il nuovo borgo, costruito ormai ai piedi dell’antica città medioevale. Unico edificio rimasto della medievale Castellorum Maris è la chiesa dedicata alla figura mariana, ripristinata dall’arciprete Geronimo Zurlo (1648). La piccola edicola (così denominata) venne benedetta dal vescovo Domenico Botta (1717-1722).ma è grazie al lavoro dei castellesi che , dopo anni e prima il grano e poi il denaro corrisposti alla mensa vescovile di Isola , che nel 1780 ebbero a costruire l’odierna chiesetta, all’epoca fatta di semplice, rustica e senza pavimento. La chiesa risultò ben fornita di arredi sacri solo alla fine del 1789, denominata “Chiesa parrocchiale di Santa Maria della Visitazione”.

 

Giovan Dionigi Galeni detto Occhialì (Uluch-Alì, Ulucciali, Ulucci Alì, Kilig Alì)

Poche sono le notizie che ci giungono sulla vita di Giovanni Dionigi, il futuro Uluch-alì. Tra gli studiosi che più si sono sforzati di raccogliere dati certi sulla prima fase della vita di Giovanni , il più attendibile è sicuramente Gustavo Valente. Secondo lo studioso, Giovanni Dionigi nacque attorno al 1520, a Le Castella, un borgo di mare , frazione del comune di Isola di Capo Rizzuto (nell’odierna provincia di Crotone), . Il padre, Birno, un pescatore originario di Sant’Agata del Bianco, e la madre,  Pippa de Cicco, una contadina del luogo. Giovanni è un povero fanciullo pescatore, vocazione del piccolo borgo. Sono gli anni delle grandi invasioni turche,  note anche come l’invasione dei Pirati. A Capo Cimiti, frazione vicina a quella di Le Castella, i pirati sbarcano per la prima volta nel 1517, mettendo a ferro e fuoco tutto ciò che incontra, saccheggiando cibo e denaro, violentando donne e rapendo giovani fanciulli. Per quanto a Castella si alzano alti muri, nulla può contro la ferocia e l’imprevedibilità dei pirati che la prendono di mira soprattutto tra il 1530 ed il 1548 , essendo essa maggiormente esposta sul mare.

Tra i fanciulli rapiti c’è proprio il castellese GIOVANNI , ragazzo che seppur “maldisposto, tutti tignoso, e di mala vista” (molto probabilmente infestato dalla tigna) in compenso possedeva grande intelletto, conoscenza del mare e dei venti e di mente vispa. Catturato del corsaro Brarbarossa, fu messo ai remi delle galene turche. Nella diatriba con un pirata turco che lo schiaffeggio, Giovanni, pur di ucciderlo e rispondere all’offesa ricevuta, si convertì alla religione musulmana e fece riferimento alla legge islamica . da qui il nome di RINNEGATO  .

È con il rais Giafer che Giovanni viene destinato ai lavori domestici nella casa dello stesso sino a sposarne la figlia Bracaduna. Mentre in terra di Calabria Giovanni è ormai “l’Infedele” e triste è la sua fama per i borghi e per i mari quale crudele sanguinario, tra i turchi diventa osannato, iniziando la sua ascesa a Capitano Ammiraglio sotto la guida e la protezione di Dragut, uno dei più famosi ammiragli e corsaro ottomano , alla  cui morte gli subentra. Noto con diversi nomi Uluch-Alì, Uichialì, Aluccialì, Ucci-alì, Uluc Ali ma soprattutto col nome occidentale Occhialì, Giovanni diventa viceré d’Algeri nel marzo del 1568. Imminente lo scontro tra la flotta cristiana guidata dai Re Cattolici e quella ottomana per il dominio sul mediterraneo.  All’alba del 7 di ottobre 1571, la flotta della Lega Cristiana entrava nel Golfo di Patrasso. Dopo 4 ore di furiosi combattimenti, di terribili corpo a corpo combattuti sui ponti delle imbarcazioni, le navi cattoliche avrebbero colto quella vittoria per la quale i turchi sarebbero stati esclusi per sempre dal Mediterraneo occidentale. Nel Golfo di Lepanto la grande battaglia a cui Giovanni partecipò al comando delle sessantasette galee , le uniche a salvarsi dalla grande battaglia. Giovanni rientra con in terra deponendo ai piedi del sultano lo stendardo dei cavalieri di Malta, guadagnato in battaglia. Il sultano lo nomina “Re del Mare” (che comporta l’assoluto governo dell’arsenale e di tutta l’armata marittima) e sovrano di Algeri. Giovanni, ormai il noto Uluç Alì, morì a Costantinopoli nella moschea di Topkhane (nota col suo nome e molto visitata) nel 1587, lasciando in eredità alla sua servitù tutti i suoi beni.

Fonti e approfondimenti:

www.archiviostoricocrotone.it

www.treccani.it

www.salpan.org/ARTICOLI/Lepanto

Gustavo Valente – “Vita di Occhialì – da schiavo a re di Tunisi Tripoli Algeri” , Editrice C.B.C. 1994